Il dio Priapo, noto per il suo enorme e spropositato pene, era venerato come simbolo di fecondità. Le donne patrizie di buona famiglia usavano portare al collo e al braccio monili che ne rappresentavano il fallo mentre particolari orge erano a lui dedicate.
Priapo era associato anche al mondo agricolo e alla protezione della terra coltivata e il suo grosso membro era usato come amuleto contro il malocchio e l’invidia, per questo si trovava spesso scolpito o raffigurato all’ingresso delle abitazioni.
Le storie della mitologia e gli affreschi che le ritraevano erano piene di incontri sessuali, di satiri, tradimenti e gelosie.
I Romani avevano una così ampia accettazione della sessualità in tutti i suoi aspetti che oggi è difficile immaginare, figuriamoci nel mondo puritano dei primi archeologi.
Gli scavi di Pompei sono iniziati alla fine del ‘700 sotto la direzione di Carlo III di Spagna e proseguiti con Napoleone e i Borboni poi.
Nell’archeologia dell’epoca era pratica comune rimuovere gli affreschi ed esporli altrove; stessa sorte anche per statue e reperti vari che venivano quasi tutti esposti al Museo Nazionale di Napoli.
I primi cataloghi del museo fecero presto il giro d’Europa e le autorità francesi ne proibirono la diffusione a causa del contenuto esplicitamente sessuale.
Ma l’epilogo vero e proprio avvenne con Francesco I di Borbone che visitò il museo con moglie e figlia bambina e sconvolto dall’immaginario sessuale romano ne ordinò la rimozione e chiusura in un Gabinetto speciale e segreto.
A Pompei furono installate delle placche di metallo a coprire le immagini scabrose, che potevano però essere visionate dagli uomini dietro pagamento di un prezzo aggiuntivo.
Tutto questo fervore non fece altro che rendere la collezione ancora più famosa.
Fu così che il gabinetto segreto dell’arte erotica di Pompei ed Ercolano divenne tappa obbligatoria nei viaggi dei gentleman europei.
Tra le decine di falli di pietra, monili fallici e mosaici scabrosi, un elemento divenne più famoso degli altri: la Capra. La scultura rappresenta una femmina di capra in un rapporto sessuale con un satiro: lei gli preme gli zoccoli al petto, lui la guarda e lei restituisce lo sguardo con una qualche sorta di tenerezza.
Per un secolo e mezzo la collezione rimase chiusa al pubblico, off limits per le donne e i giovani.
Nel 2000 la raccolta erotica fu spostata in una sezione dedicata del Museo Archeologico Nazionale di Napoli ed è finalmente aperta al pubblico.